Come abbiamo sempre sottolineato in questo articolo riguardo la Videoconferenza, Unified Communication, può consentire forti incrementi di produttività e risparmio sia nei costi che nelle emissioni di CO2 per gli spostamenti.
In questo particolare momento l’emergenza legata all’epidemia da coronavirus di questi giorni ha acceso i riflettori sul lavoro agile, o smart work, utilizzato dalle aziende (e autorizzato dal Dpcm 25 febbraio 2020 anche senza intese scritte) per ovviare ai divieti imposti dall’emergenza e ai rischi connessi.
Come viene sottolineato in questo articolo: Le nuove postazioni di collaborazione: Huddle-room lo smart working, però, non va inteso solo come risposta alle emergenze, ma è una nuova e possibile modalità di svolgere il rapporto di lavoro subordinato che, sebbene ancora di nicchia, è sempre più diffusa.
Secondo l’Osservatorio della School of management del Politecnico di Milano nel 2019 hanno fruito del lavoro “smart” 570 mila lavoratori dato in crescita del 20% rispetto all’anno precedente.
In questi giorni, lo smart working è stato amplificato o e applicato da multinazionali con migliaia di dipendenti, ma anche realtà più piccole, dalle agenzie di comunicazione agli studi legali si sono organizzate per poter permettere ai loro dipendenti soluzioni adeguate. Al netto dell’emergenza coronavirus, invece, la diffusione di questo strumento nelle aziende italiane ha tutt’altra faccia.
Sempre secondo i dati del Politecnico di Milano, le grandi aziende che già di applicano forme di lavoro “smart” sono 58 su 100. A queste si aggiungono un 7% che ha attivato iniziative informali e un 5% che pensa di farlo entro i prossimi 12 mesi; mentre nelle piccole e medie imprese i progetti strutturati sono solo il 12%, ma soprattutto le aziende che, non avendo attivato progetti, si dichiarano totalmente disinteressate all’implementazione del lavoro “smart” più della metà (51%).
La vera sfida, quindi, è riuscire ad avere una diffusione sempre più capillare del lavoro “smart”, nelle piccole e medie imprese.
Che stranamente, su questo fronte, sono più indietro rispetto alla pubblica amministrazione.
Questa è davvero la sfida per le Pmi dove da un lato, c’è la penetrazione della tecnologia e dall’altra, i manager, che sono il vero volàno del cambiamento: se loro stessi non hanno abbastanza competenze tecnologiche o non sono in grado di organizzare in modo diverso i luoghi di lavoro è difficile che comprendano le potenzialità dello smart working e che lo implementino.
Per questo motivo noi di CONSEA siamo a disposizione per offrire maggiori dettagli sia nel campo hardware e software per la videoconferenza, offrendo delle soluzioni ad-hoc, come è stato fatto ad esempio a fine 2019 con l’azienda FonARCom – azienda italiana che finanzia Piani Formativi su misura delle esigenze dei lavoratori e delle imprese italiane, attraverso strumenti adeguati a ogni contesto aziendale, interaziendale di sistema – dove abbiamo configurato i nuovi strumenti per lo “smart working” collegando le sedi di Milano, Roma, Palermo e Caltanissetta.
Il dispositivo suggerito è stato un sistema Endpoint HD9Pro basato su sistema operativo Windows10 Pro, in questo modo applicazioni tipo Office365, Teams si integrano completamente nell’azienda, potendo sfruttare anche tutta l’infrastruttura di rete creata dai nostri sistemisti. L’azienda ha optato questa configurazione proprio per la sede centrale mentre per le sedi secondarie abbiamo installato dei dispositivi sempre all-in-one con sistema operativo Android, più semplici da gestire.
Nel complesso lo “smart working” ha un impatto sia sui costi aziendali sia sulla produttività, lavorare in team aiuta la creatività. Secondo il Politecnico l’incremento di produttività delle aziende italiane, se applicassero un modello di lavoro “smart”, toccherebbe 13,7 miliardi di euro. C’è poi la ricaduta ambientale, legata per buona parte al pendolarismo: una giornata di smart working alla settimana per ogni lavoratore comporta un risparmio annuale individuale di 135 kg di Co2. Dal punto di vista dei lavoratori, lo smart working ha effetti positivi sulla conciliazione della vita privata e lavorativa e, nel 32% dei casi, dà più soddisfazione.
La diffusione dello smart working in Italia è inferiore alla media mondiale. Secondo l’11esima edizione del «The Iwg global workspace survey», le aziende che, nel mondo, hanno una politica flessibile del lavoro e dei suoi spazi sono il 62 per cento. In Italia, invece, solo il 59 per cento.
C’è dunque spazio di crescita, soprattutto nel confronto con Paesi come Germania (80%), Olanda (75%), Usa (69%) e Regno Unito (68%) dove la flessibilità è già molto diffusa. In questo momento l’Italia è indietro rispetto agli altri Paesi anche se si guarda alla sola diffusione del telelavoro.
Ci vuole un cambiamento culturale. Ma il gap nell’applicazione dello smart working tra le grandi aziende e quelle piccole e medie si riscontra anche a livello internazionale.
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Tu come vivi nella tua azienda questo cambiamento?